sabato 29 dicembre 2018










IL BENE VERO E' SENZA CONDIZIONI



"In ogni attimo della giornata ti mando i miei raggi perché ti scaldino e siano anche luce per dissipare il buio della tua notte”, disse il Sole alla Terra.

“Che cosa vuoi allora in cambio?”, domandò la Terra.

“Nulla",rispose il Sole. E aggiunse:“Se ti avvicinassi a me anche soltanto un poco, rimarresti bruciata. Ma, se vorrai, potrai a tua volta diffondere il calore e la luce tutto attorno a te”.

E tacque per sempre.







sabato 11 agosto 2018



ANIME GEMELLE



Chiamami come vuoi.
Il nome non ce lo diamo noi, noi non ci chiamiamo.
Gli altri ci chiamano, per convenzione.
Ma tu chiamami pure come vuoi.
Chiamami anche con il mio nome o con un nome di tua fantasia.
Se vuoi, chiamami stella o amore o gioia mia.
Chiamami tesoro o luce dei miei occhi o meraviglia.
Chiamami in qualunque modo, secondo come mi vedi e come mi senti.
E come vedi e senti te stessa, in quell'istante preciso, in ogni luogo e in tutti i luoghi in cui ci apprestiamo a sperimentare il nostro incontro di anime.
Solo a te concedo di chiamarmi come vuoi.
Perché il mio nome con te non ha senso, non ha ragione di essere.
Perché qualsiasi nome, con te, sarebbe riconducibile alla semplice nostra condizione umana piuttosto che alla nostra vera natura.
Nella quale ci rituffiamo liberi, quando tu e io insieme viviamo.
E allora, se preferisci, non pronunciare il mio nome né altro che non siano quelle vibrazioni con le quali sei approdata sulla sponda di questo mare e che da molto lontano - e in un tempo lontano - ho percepito appena in risonanza fino a trovarti dopo secoli di spasmodica ricerca.
Perché tu e io siamo già oltre, seppure ancora in questa dimensione.
Perché qui o altrove, in qualsiasi altra dimensione, tu e io saremmo già comunque oltre.
Chiamami pure come vuoi.
Io non ti chiamo più ormai.
Non ce ne è più bisogno.
Sono tornato ad essere "uno" con te.
Nel silenzio e nella quiete del sempre o del mai.
Del tutto o del nulla.





martedì 7 agosto 2018



ECCOMI



...." Eccomi allora, ancora un attimo almeno. Il tempo di salutarti. Di salutare anche questo tuo silenzio che arriva alle mie orecchie non meno del canto melodioso dei tuoi pensieri che giungono al mio cuore e lo inondano di grazia e di beatitudine dentro a quella quiete che ormai dilaga come calme acque di lago di montagna e invade ogni angolo di me.
Grazie ancora per i consigli. Utilissimi.
Non poteva essere altrimenti: "fatti con amore", come mi hai insegnato si debba accompagnare ogni nostra azione e ogni parola. E come tutto quello che fai, che hai sempre fatto anche quando, ancora ragazzina, percorrevi in giù e in su, a passo veloce, la breve discesa sotto le finestre di casa, con quelle scarpe bianche da ginnastica e i pantaloncini color azzurro sbiadito, sopra i quali lasciavi intravedere un lembo appena di pelle, sotto una maglietta anch'essa bianca che vestiva in modo sbarazzino la tua esile corporatura.
Quel tuo andirivieni, che oggi sento così familiare nella sua naturalezza e spontaneità, era sempre accompagnato da un sorriso solare e da qualche sguardo che talvolta incrociavamo e che mai avrei pensato potesse essere preludio alla intensità del nostro guardarci fin dentro l'anima nel tempo corrente.
Come è curiosa la vita! E che dire di questo manifestarsi troppo spesso incompreso o davvero incomprensibile al noi che siamo in quel momento?
Spero dunque di vederti presto.
Comprendo le tue resistenze e la paura che le muove e che è generata da qualche esperienza infelice per te.
Ma di paura si muore, non si vive.
Di sperimentazione si invece, si vive.
Di paura si resta soli, di sperimentazione si fa esperienza comune e talvolta proprio insieme.
Ho davvero un grande desiderio di vederti, abbracciarti, tenerti per mano.
Desiderare: dal latino "de sidera" , letteralmente "mancanza di stelle".
Ecco il senso del desiderio di cui ho detto: rivedere da vicino la stella che sei e la stella che sei stata nel mio cielo ancora buio di allora.
Si dice che il tempo sia circolare e dunque viene sempre il momento del ritorno, prima o poi...certo diversamente dal precedente e proprio per questo da sperimentare nel nuovo e nel diverso da prima.
Allo stesso modo in cui ogni giorno, nuovo e diverso, si affaccia alla nostra vista, e noi al giorno.
Un giorno, questo che viene e come tutti gli altri che verranno, che ti auguro sereno e felice anche nel constatare quanto bene ancora agisci in me per qualcosa che hai fatto un tempo lontano, estensione di frequenze e vibrazioni all'infinito e nel senza tempo.
Un abbraccio forte e delicato, di amore vero e sincero.
E di gratitudine."



martedì 10 luglio 2018




ROTTE CONVERGENTI


pagina in costruzione

"...il cielo andava rasserenandosi, il vento era calato di intensità. Ad un sommario calcolo sarebbe atterrato nel Porto di Genova entro la mattina seguente. Volse lo sguardo verso la scia a poppa e si accorse che, poco lontano, navigava al traverso una piccola imbarcazione a vela che non aveva notato prima, preso come era dalle manovre per issare la vela di prua..."




ORTENSIE



Fin da bambino mi hanno sempre attratto i cespugli di ortensie, affascinato dalla varietà dei loro colori dalle molteplici gradazioni.
Nel giardino della casa di Milano, in via Juvara, in cui abitavano i nonni paterni e che io spessissimo frequentavo, facevano bella mostra di sé, proprio accanto agli iris, che chiamavamo "spadoni" per la forma appunto a spada delle loro foglie, e che in estate vedevo riempirsi di fiori di varie tonalità, soprattutto di colore viola e blu e giallo.

Le ortensie erano forse i fiori che avevano meno bisogno di cure. Sembrava si sviluppassero velocemente e quasi con impeto, al punto che bisognava compiere un leggero semicerchio per oltrepassare quella zona quando , in piena estate, raggiungevano il massimo della loro espansione.
Mi attraeva la ravvicinata convivenza di quei colori così tenui e così marcati al tempo stesso: alcuni fiori dal bianco al rosa al rosso. Altri dal bianco al celeste all'azzurro. Altri ancora di colore blu intenso e rosso e viola.
Si, forse inconsapevolmente associavo questi fiori ad una tavolozza di un pittore che avrebbe usato questa raffinata varietà di colori per dipingere quadri di personaggi e storie fantastiche che solo l'immaginifica mente creativa di un fanciullo riesce a costruire.

C'erano poi alcune piante da frutta nel giardino dei nonni, come l'albicocco, nell'angolo verso la casetta degli attrezzi, e il susino, lì accanto, dal quale bisognava staccare i frutti appena maturi per evitare che cadessero a terra e fossero preda di passerotti, merli e formiche.

Il grosso fico, piantato nell'angolo in fondo a destra rispetto al cancello di ingresso, in prossimità dei locali per le cantine, emanava il suo profumo a distanza e mi affascinava con quelle foglie a tre e a cinque "punte", come dita di mani che si protendevano verso il cielo e anche verso di me che spesso mi ritrovavo ad accarezzarle con delicatezza. Quello che mi chiedevo era come mai fossero lisce sulla parte superiore e pelose su quella inferiore , ed ogni volta ci scherzavo su, ridendo mentre provavo una accattivante strana sensazione sul palmo della mano destra con la quale toccavo il sotto della foglia, mentre con la mano sinistra la chiudevo dal di sopra.

A lato di uno dei tre vialetti che tagliavano il giardino perpendicolarmente, c'erano le piantine di fragole, disposte in file che accompagnavano il perimetro del camminamento. Stavano nella parte più soleggiata del giardino e d'estate era tutta una esplosione di foglie e frutti, che erano poi quelli più alla mia portata per essere raccolti e subito mangiati in quantità...industriale e con grande gusto.

E poi c'era il ciliegio, che nel mio ricordo di adesso era maestoso e che sovrastava e ombreggiava un'area di discrete dimensioni dove mi fermavo spesso in contemplazione del tutto che mi stava attorno. E ogni volta mi sentivo profondamente coinvolto con quel tutto e con ogni cosa, in quello che ora definirei come un vero e proprio senso di appartenenza: una sensazione che è andata via via facendosi del tutto normale e che ancora oggi sempre si ripresenta con la stessa intensità quando mi ritrovo a contatto con la Natura.
Il ciliegio sviluppava i suoi rami fin sopra il tetto del vicino magazzino per la vendita delle biciclette.
Mi capitava di salirci spesso e di cimentarmi in improbabili scalate tra i rami eleganti nel loro sviluppo, e poi staccare abbondanti quantità di rosse ciliegie di cui ero golosissimo e di cui aspettavo con impazienza la crescita e la successiva maturazione fino dal tempo in cui il fascino unico della fioritura primaverile faceva diventare il grande albero, con i suoi bianchissimi fiori, come un "batufolone" di cotone.

Ma che più di tutto attiravano la mia attenzione e suscitavano una istintiva e quasi irresistibile attrazione, erano proprio quei cespugli di ortensie.
Sarà stato forse per la loro posizione all'ingresso del giardino , così che erano il primo impatto visivo all'entrata e l'ultimo all'uscita.
Sarà stato per il fascino un po' misterioso che generavano quei fiori così vicini tra loro e che pure si sviluppavano in tonalità di colori tanto diverse e addirittura dissimili, originando in me una primordiale e inconsapevole riflessione sulla diversità e unicità di ogni forma vivente nelle sue peculiarità.
Ma c'è qualcosa d'altro su cui oggi rifletto, ed è connesso al significato simbolico di questi fiori che vengono ricondotti al sentimento dell'amore, il quale in effetti anche si concretizza e si sviluppa nella sua "molteplicità di forme e di gradazioni ".

Il tema dell'amore, in tutte le sue davvero infinite quanto imprevedibili variabili, mi ha sempre affascinato e ha indirizzato il mio percorso di crescita fino alla presente stagione. Cioè all'età in cui , è risaputo, si incomincia a "tirare le somme", a far bilanci insomma, poichè il tempo degli investimenti e della produttività a tutti i costi volge al termine.

Ecco, forse quella attrazione che provavo e quel ricordo che mi porto dentro e riaffiora ogni volta che incontro questi cespugli di ortensie, sono proprio riferiti al tema dell'amore che è stato sempre centrale nel corso degli anni e che riconosco pertanto come personale ineludibile vocazione vissuta e ancora da vivere nell'esperienza di questo tempo.

E in questo flusso, mi muovo con gioia e in serenità.





Cespugli di ortensie sul declivio in Collina d'Oro, ai bordi del lago di Lugano (estate 2011)


domenica 17 giugno 2018



INCONTRO



"...lui si accorse del suo avvicinarsi e si fermò sul limitare della ristretta laguna nella quale si muovevano, volteggiando a pelo d'acqua, alcuni eleganti esemplari di fenicotteri rosa. Fu allora, incrociando i loro sguardi nel sole già caldo di quell'anticipo di estate ormai incipiente, che si riconobbero. Oltre le loro sembianze, oltre le loro storie personali, oltre il tempo e lo spazio che avevano fino a quel momento occupato in tale ravvicinata distanza che le convenzioni e qualche personale resistenza diversamente inconsapevole avevano contribuito a determinare. Quello che si dissero fu come la recitazione di un copione scritto a quattro mani, in piena condivisione di vedute e di sentire e di intenti. Una eternità racchiusa e come compressa in pochi minuti, quanti ne ebbero a disposizione per comprendere che loro due - i due spiriti calati in quei corpi che le ragioni legate al loro individuale viaggio avevano stabilito tanto lontani nel tempo di questa dimensione - erano una particella integrante e ineludibile ed insieme un segnale inconfutabile sul cammino del rispettivo ritorno.
Si salutarono.
Lui la seguì per un attimo con lo sguardo. Poi si voltò verso la collina dove era diretto. Una stradina sterrata si allungava, tra il verde intenso dell'erba e qualche cipresso, fino alla sommità. E mentre ancora una volta si chiedeva cosa potesse esserci dietro quella collina, senza indugio si incamminò, portando con sé i suoi molti anni e la sua fanciullesca istanza di scoperta del nuovo e del mistero"...



https://youtu.be/giIXyvkW1jM





venerdì 1 giugno 2018




EPILOGO






Lei aprì la finestra e, semplicemente, volarono via.

E ancora oggi, nel cielo e tra le rocce e la vegetazione della baia, tra la biancheria stesa al sole sui fili argentati tesi tra le antiche mura delle abitazioni dei pescatori e sulla superficie del mare che appena si increspa, il loro spirito è brezza mattutina del giorno che avanza nelle calde e popolose estati mediterranee così come nel religioso silenzio dei lunghi inverni.

E tutto ed ogni cosa è finalmente in pace.

E tutto ed ogni cosa sono pace.


La baia di san Fruttuoso di Camogli (Genova) - Foto Roberto Sessa

giovedì 24 maggio 2018



DIETRO LA PORTA



Mi domandi perché ti ho chiesto di incontrarci.
E subito mi guardi con occhi quasi indagatori, mi osservi, a voler percepire ogni mia più istintiva e minima reazione, in attesa che io risponda.
Stai scrutando nella mia anima, attraverso questi miei occhi ormai stanchi e non per questo meno avidi di nuovo e di mistero.
Sono trascorsi molti anni dalla nostra storia d’amore, passata come una meteora nel cielo delle nostre esistenze e vissuta ai limiti del paradiso o dentro ad esso, come a me ancora oggi appare, e come ricordo con questo brivido che pervade il tutto che sono.
Taci. Mi osservi. Il dubbio si fa strada.
Un misto tra paura e rabbia. Lo intuisco dai lineamenti del viso su cui sono disegnati i tratti di un dolore che riaffiora, di un abbandono passivo, senza resistenze, come una foglia trascinata via dalla corrente ritorna a galla e viene cullata dalla quiete ritrovata delle acque. Ma è sola, dispersa, e altro non può fare che lasciarsi trasportare, chissà dove.
Abbasso per un attimo lo sguardo. Mi pare che il tuo esile corpo frema come attraversato da una energia inaspettata che mi ricorda la stessa che ci scambiammo nell’aula di scuola di quell' antico palazzo prospiciente il mare di Genova.
Un sussulto.
Di nuovo mi domandi: “ Perché mi hai chiesto di incontrarci? ”. E incalzi : ” C'è qualcosa che mi vuoi dire?”
In quell’attimo che introduce al mio risponderti, vivo la visione di noi seduti nel prato alle pendici dell’ Àntola, l’erba già alta quanto bastava perché ci accarezzasse fino alle spalle, la casetta di legno ricovero di attrezzi agricoli a ricordare qualche presenza, il sole già tiepido a riscaldare l’aria di una primavera che sarebbe stata anche la mia, del mio ritrovarmi nell’amore della giovane donna che eri - che sei - e già allora così accogliente e consapevole e saggia e anelante alla condivisione di un cammino comune.
E rivivo l’estasi di quel bacio che, volutamente, mi trattenevo dal consegnare al ricordo indelebile della tua bocca perché tu potessi provare fino al culmine tutta la religiosità di quel momento e per allungare l’attesa del primo incontro con le tue labbra, come si fa prima di scartare un regalo atteso da sempre, dilatando per un poco - e per un poco ancora- il tempo, e gioirne appieno nel tenerlo infine tra le mani.
C’è un cielo così terso oggi ed un sole così brillante che illumina di una luce abbagliante l’erba di queste dolci colline del Monferrato, dove sei venuta ad abitare. Il tuo vestito di cotone bianco, appena mosso da questa brezza che sale sul finire del mattino, lascia scoperte le ginocchia e fa intravedere appena quel seno che ricorda boccioli di rose che solo mani delicate hanno facoltà di accarezzare. I capelli finissimi e di nuovo lunghi fino alle spalle sono un’aurea corona all’ovale del tuo viso nel quale il colore dell' acqua marina dei tuoi occhi sempre attrae e confonde e rapisce.
Quasi mi perdo dentro a questo momento e mi riprendo ora che mi sfiori appena la mano, con un gesto quasi casuale e che sento amico, di più, affettuoso, quasi a rassicurarmi nell’attimo stesso in cui mi induci ad aprire il mio cuore.
“ Si, ho cose da dire…che mi sta a cuore dire”, inizio non senza un poco di timido imbarazzo.
"Da dire a te, a me , a noi. Non ne ho avuto il tempo allora, frastornato come ero dal dolore che un incalzare di eventi a noi ostili mi aveva allontanato dalla rotta che insieme, improvvisati marinai sulle acque ancora agitate dei nostri destini, avevamo deciso di intraprendere.”
Camminiamo ancora su per questa stradina di ghiaia e sassi ed ecco una casa, proprio sulla cima della collina, delinearsi alla nostra vista. Un giardino fiorito nel quale spicca un cespuglio di rosa canina che sembra quasi aggrapparsi alla parete in sassi e mattoni e disegnare una improbabile figura di cuore che pare sanguinante. Il cancello in ferro battuto, solo un poco arrugginito, è appena accostato.
Il tempo di entrare e compiere alcuni passi verso la porta color verde bottiglia, con qualche crepa nella vernice, una serratura a chiave di quelle antiche, e mi accorgo all’improvviso di essere solo.
Penso che tu potresti essere rimasta fuori dal cancello: ma senza che me ne sia accorto?, mi domando. Nemmeno il tempo di voltarmi a guardare e sento lo scricchiolio della porta che si apre lentamente.
Istintivamente mi avvicino fino a ritrovarmi sulla soglia. Mi pare che la stanza, dentro, sia buia, forse per contrasto con la luce del sole che inonda di taglio la casa.
Un attimo ancora e quasi urlo preso alla sprovvista da un senso di angoscia per vederti ora lì dentro, io che ti pensavo fuori dal cancello.
Un istante che sembra un’eternità, un istante durante il quale rivedo - e rivivo- attimo per attimo il tutto ed ogni cosa che è stata tra noi.
E mentre tutto questo accade, ecco, mi sveglio di soprassalto, nemmeno riesco a muovermi nel letto, le lenzuola a coprirmi solo parzialmente le gambe, una sensazione di freddo che mi pervade.
Mi copro, riprendo lentamente coscienza mentre le prime luci dell’alba portano i rumori amichevoli della natura con le sue voci e le sue vite che ricominciano a proporsi al giorno che viene.
Mi metto a sedere sul letto e cerco di ricordare il sogno nei dettagli. E mi interrogo su che cosa potessi essere sul punto di dirti, rispondendo alle tue domande. E intuisco che, rispondendo a te, rispondo a me stesso, indagando nel profondo di allora e di ora.
Si, sono certo, ti chiederei di incontrarci per pronunciare finalmente quella stessa esortazione che fu tua rivolta al me di allora: “Sono tornato, adesso sono pronto”.
E aggiungerei con tutto me stesso: “Sono pronto a sperimentarmi con te, finalmente libero da qualsiasi condizionamento. Sono pronto a sperimentarmi con la persona che sei, perché finalmente sono pronto a sperimentarmi con la sincerità, l’altruismo, l’accoglienza,il senso dell’impegno praticato nel quotidiano, il desiderio dello scambio di amore romantico e di amore sensuale, la maturità complessiva, che sono il tutto, appunto, che tu sei.
E sono infine pronto a sperimentarmi nello scambiare con te tutta l’energia buona che ha accompagnato per quel tempo il nostro amore speciale e che, da allora, ha sempre continuato a rinnovarsi, contribuendo anche a rendere meno faticoso il mio cammino.
E adesso è ormai ora che mi alzi.
Ti mando un bacio, mia amata.








https://youtu.be/AG9ujljNxQI