martedì 10 luglio 2018




ROTTE CONVERGENTI


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"...il cielo andava rasserenandosi, il vento era calato di intensità. Ad un sommario calcolo sarebbe atterrato nel Porto di Genova entro la mattina seguente. Volse lo sguardo verso la scia a poppa e si accorse che, poco lontano, navigava al traverso una piccola imbarcazione a vela che non aveva notato prima, preso come era dalle manovre per issare la vela di prua..."




ORTENSIE



Fin da bambino mi hanno sempre attratto i cespugli di ortensie, affascinato dalla varietà dei loro colori dalle molteplici gradazioni.
Nel giardino della casa di Milano, in via Juvara, in cui abitavano i nonni paterni e che io spessissimo frequentavo, facevano bella mostra di sé, proprio accanto agli iris, che chiamavamo "spadoni" per la forma appunto a spada delle loro foglie, e che in estate vedevo riempirsi di fiori di varie tonalità, soprattutto di colore viola e blu e giallo.

Le ortensie erano forse i fiori che avevano meno bisogno di cure. Sembrava si sviluppassero velocemente e quasi con impeto, al punto che bisognava compiere un leggero semicerchio per oltrepassare quella zona quando , in piena estate, raggiungevano il massimo della loro espansione.
Mi attraeva la ravvicinata convivenza di quei colori così tenui e così marcati al tempo stesso: alcuni fiori dal bianco al rosa al rosso. Altri dal bianco al celeste all'azzurro. Altri ancora di colore blu intenso e rosso e viola.
Si, forse inconsapevolmente associavo questi fiori ad una tavolozza di un pittore che avrebbe usato questa raffinata varietà di colori per dipingere quadri di personaggi e storie fantastiche che solo l'immaginifica mente creativa di un fanciullo riesce a costruire.

C'erano poi alcune piante da frutta nel giardino dei nonni, come l'albicocco, nell'angolo verso la casetta degli attrezzi, e il susino, lì accanto, dal quale bisognava staccare i frutti appena maturi per evitare che cadessero a terra e fossero preda di passerotti, merli e formiche.

Il grosso fico, piantato nell'angolo in fondo a destra rispetto al cancello di ingresso, in prossimità dei locali per le cantine, emanava il suo profumo a distanza e mi affascinava con quelle foglie a tre e a cinque "punte", come dita di mani che si protendevano verso il cielo e anche verso di me che spesso mi ritrovavo ad accarezzarle con delicatezza. Quello che mi chiedevo era come mai fossero lisce sulla parte superiore e pelose su quella inferiore , ed ogni volta ci scherzavo su, ridendo mentre provavo una accattivante strana sensazione sul palmo della mano destra con la quale toccavo il sotto della foglia, mentre con la mano sinistra la chiudevo dal di sopra.

A lato di uno dei tre vialetti che tagliavano il giardino perpendicolarmente, c'erano le piantine di fragole, disposte in file che accompagnavano il perimetro del camminamento. Stavano nella parte più soleggiata del giardino e d'estate era tutta una esplosione di foglie e frutti, che erano poi quelli più alla mia portata per essere raccolti e subito mangiati in quantità...industriale e con grande gusto.

E poi c'era il ciliegio, che nel mio ricordo di adesso era maestoso e che sovrastava e ombreggiava un'area di discrete dimensioni dove mi fermavo spesso in contemplazione del tutto che mi stava attorno. E ogni volta mi sentivo profondamente coinvolto con quel tutto e con ogni cosa, in quello che ora definirei come un vero e proprio senso di appartenenza: una sensazione che è andata via via facendosi del tutto normale e che ancora oggi sempre si ripresenta con la stessa intensità quando mi ritrovo a contatto con la Natura.
Il ciliegio sviluppava i suoi rami fin sopra il tetto del vicino magazzino per la vendita delle biciclette.
Mi capitava di salirci spesso e di cimentarmi in improbabili scalate tra i rami eleganti nel loro sviluppo, e poi staccare abbondanti quantità di rosse ciliegie di cui ero golosissimo e di cui aspettavo con impazienza la crescita e la successiva maturazione fino dal tempo in cui il fascino unico della fioritura primaverile faceva diventare il grande albero, con i suoi bianchissimi fiori, come un "batufolone" di cotone.

Ma che più di tutto attiravano la mia attenzione e suscitavano una istintiva e quasi irresistibile attrazione, erano proprio quei cespugli di ortensie.
Sarà stato forse per la loro posizione all'ingresso del giardino , così che erano il primo impatto visivo all'entrata e l'ultimo all'uscita.
Sarà stato per il fascino un po' misterioso che generavano quei fiori così vicini tra loro e che pure si sviluppavano in tonalità di colori tanto diverse e addirittura dissimili, originando in me una primordiale e inconsapevole riflessione sulla diversità e unicità di ogni forma vivente nelle sue peculiarità.
Ma c'è qualcosa d'altro su cui oggi rifletto, ed è connesso al significato simbolico di questi fiori che vengono ricondotti al sentimento dell'amore, il quale in effetti anche si concretizza e si sviluppa nella sua "molteplicità di forme e di gradazioni ".

Il tema dell'amore, in tutte le sue davvero infinite quanto imprevedibili variabili, mi ha sempre affascinato e ha indirizzato il mio percorso di crescita fino alla presente stagione. Cioè all'età in cui , è risaputo, si incomincia a "tirare le somme", a far bilanci insomma, poichè il tempo degli investimenti e della produttività a tutti i costi volge al termine.

Ecco, forse quella attrazione che provavo e quel ricordo che mi porto dentro e riaffiora ogni volta che incontro questi cespugli di ortensie, sono proprio riferiti al tema dell'amore che è stato sempre centrale nel corso degli anni e che riconosco pertanto come personale ineludibile vocazione vissuta e ancora da vivere nell'esperienza di questo tempo.

E in questo flusso, mi muovo con gioia e in serenità.





Cespugli di ortensie sul declivio in Collina d'Oro, ai bordi del lago di Lugano (estate 2011)