mercoledì 21 giugno 2017



"CONOSCI TE STESSO"


Mi è sempre piaciuto condividere emozioni e anche semplici avvenimenti con un'altra persona e, in genere, con altre persone.
Trovo sia un modo, uno dei migliori, di comunicare al di là dei quotidiani scambi di parole, pensieri, idee che non sempre sono il frutto dell'esporre la nostra interiorità e che, piuttosto, sono il risultato di culturalmente involuti e fuorvianti schemi e modelli educativi per mezzo dei quali ci è stato insegnato ad usare maschere se non addirittura armature a tutela di noi stessi. Ma, così facendo, abbiamo finito con il confondere cosa veramente pensiamo con cosa vogliamo far credere di pensare e, soprattuto, in ultima istanza, chi veramente siamo con chi vogliamo mostrare di essere.
Per anni e anni ho personalmente vissuto in questa che definisco una vera e propria trappola, convinto, anzi senza neppure pormi la questione, che tutto andasse bene. E così facendo, lentamente ed inesorabilmente mi sono allontanato dal me che ero, finendo per vivere una fetta larga e corposa di vita che non sempre è stata la mia, piuttosto quella degli altri, dei singoli altri con i quali di volta in volta mi rapportavo.
Dunque, come sempre in fondo succede, giunse, imprevisto e per me in modo quasi drammatico, il momento del "risveglio", della presa di coscienza e dell'acquisizione prima e della pratica poi, di passo in passo, di quel concetto antico che richiama alla conoscenza di sé e che oggi chiamiamo con il termine di consapevolezza.
L'antica cultura greca, profondamente e naturalmente radicata in me e che ho potuto sviluppare con i miei studi classici che capaci ed illuminati maestri hanno contribuito ed ancora contribuiscono a rendere appassionanti, ha riassunto questo concetto in una iscrizione che sta nel Tempio di Apollo a Delfi,in Grecia, a pochi chilometri dal golfo di Corinto, e che è il santuario per eccellenza della cultura panellenica: "γνῶθι σαυτόν" cioè "conosci te stesso".
Ci sono stato a Delfi, se ricordo bene sono trascorsi la bellezza di trentasei anni, insieme alla famiglia costituita, la moglie e i due figli.
Si costeggia, su una litoranea con molte curve, il golfo di Patrasso e, giunti in prossimità della cittadina di Antirion si percorre la suggestiva valle degli ulivi e si prende a salire sulla collina alta circa cinquecento metri su cui sta l'antico sito sacro con il Tempio dedicato al dio Apollo. In lontananza, verso levante, il golfo di Corinto si apre nella sua vastità e costituisce l'ideale porta di ingresso all'omonimo canale che immette poi nel golfo di Atene e che un decennio dopo avrei percorso a bordo di una barca a vela nel mio nuovo lavoro.
Ho ben vivo il ricordo di quel nostro viaggio nella Grecia antica. Mi sentivo come a casa, una casa specialissima e ormai decaduta e quasi in macerie - come del resto riguarda tutto ciò che è materia- e che comunque conservava e mi trasmetteva una grande energia che , in reciproco e silenzioso scambio, vivevo con tutto me stesso.
Dunque quella iscrizione scolpita nel tempio e che per la prima volta vedevo, sarebbe poi diventata, negli anni, lo stimolo dominante del mio personale cammino.
Questo conoscere se stessi non era e non è semplicemente un invito generico ma una vera e propria esortazione quasi perentoria a conoscere, dentro a se stessi, i propri limiti legati alla condizione umana -i greci chiamavano gli uomini "i mortali" per distinguerli dagli dèi -"gli immortali"-. E questi limiti, sia complessivi che personali, non devono mai essere superati per non rischiare di offendere le divinità dell'Olimpo che interpreterebbero come un grave atto di presunzione e superbia questo agire oltre il nostro limite personale, scatenandone le potenti ire.
Ecco, se dovessi dire quale insegnamento, tra i moltissimi che mi sono stati dati, io abbia fatto più mio e lo viva oggi proprio come pura essenza, non esiterei a confermare che questo quotidiano viaggio alla scoperta di sé rappresenta e costituisce il cammino dentro al mio personale raggio di luce verso il punto di origine.
In questo primo giorno di estate dell'anno 2017.

da " Racconti"


giovedì 1 giugno 2017


LA BIRO D'ORO

...e tutto quello che so, amor mio - del niente che so e che sempre ho saputo di non sapere- è che fin dal primo attimo in cui ti vidi nei sotterranei di quella clinica in cui il fato stabilì il nostro incontro sublime, io ho desiderato e voluto ardentemente portarti con me fuori dal tempo e dallo spazio, fuori dalla ragione che ci aveva ingabbiato per anni e anni e anni moltissimi ancora.
Tu hai avuto il coraggio o l'incoscienza se preferisci - o entrambi- di darmi la mano e di seguirmi in territori di follia.
Della follia divina d'amore, in cui albe e tramonti si accavallavano quasi, perché i giorni e le notti bruciavano in un istante la loro durata quando ci abbracciavamo persi e abbandonati e fusi insieme al nulla e al tutto dell'universo.
Abbiamo scalato ansimando le montagne della passione di Eros, siamo saliti su vecchie piroghe instabili per discendere la corrente del fiume. Abbiamo navigato su mari calmi di acque cristalline, portati da una flebile deriva sulla zattera di tronchi e liane che ci eravamo costruiti negli anni delle nostre solitudini. E quando il grande e quasi sconfinato mare oceano mostrava la sua rabbia incontenibile, ci siamo stretti e abbiamo resistito sferzati dalle onde e dal vento senza mai cedere alla paura dell'ignoto che sembrava come accanirsi contro di noi.
Abbiamo corso a perdifiato lungo i pendii erbosi ed assolati della spensieratezza ingenua dei bambini che aprono lo sguardo al mondo e nel contempo gettano,nel loro correre, la loro genuina essenza ancora non contaminata dalle regole e dalle convenzioni.
Ci siamo riposati sotto la grande quercia cresciuta quanti secoli prima, chissà, sul crinale del Monte Olimpo e abbiamo partecipato al banchetto nuziale organizzato dagli dèi in nostro onore, inondati dai profumi di incenso, con morbide carezze di olio di lavanda e baci succosi come acini di uva maturata al sole di Apollo.
Ci siamo cibati del nettare delle nostre più profonde intimità, tanto familiari da indurci a credere- e forse è davvero così- che ci fossimo già conosciuti, chissà quando , chissà dove, sotto quali sembianze che non ci fosse dato di ricordare per il mistero che l'oblio stabilisce e a cui obbliga,con il bagno nudi nel sacro Lete, prima di riprendere il nuovo cammino.
Per ciò stesso ti scrivo, per dichiararti ancora una volta, l'ultima, la mia gratitudine.
Ora sei ritornata nel tuo mondo, dove la ragione regna con solo qualche fugace e silenzioso e nascosto sconfinamento.
C'è sempre un tempo che va e, subito, un altro tempo che viene.
Ma se volessi immaginare di rituffarmi nel tempo della follia d'amore, allora ricorderei quello in cui un filo sottile ci univa senza legarci. E lo stesso filo ora si dipana e si perde quasi nel labirinto dell'esistenza e dell'assoluto e che basterà seguire per ritrovarci qui o chissà dove e quando e sotto quali nuove sembianze che Cupido ci aiuterà a svelare ancora, armando il suo arco e scoccando la freccia fatale.
Che il tuo e il mio sia un cammino di luce, la stessa che ci ha illuminato e scaldato per questo tempo così breve da sembrare un istante e così dilatato da sentirlo come eternità.
Buon cammino, amor mio, ti scriverò e scriverò ancora, parole d'amore modellate con la biro d'oro che fu il tuo regalo più simbolico che mi facesti per stabilire il senso della nostra Accademia.

da "Racconti"